giovedì 15 gennaio 2009

come posso dire di quello che
sappiamo senza che la mente si adiri
e mi fermi la mano dal verso
per scandirla nell'urlo
come posso scorrere in linee
di poesia
ciò che merita solo l'adirarsi
della bestemmia
lo strascico dell'anatema
la persistenza nell'oltre
e come posso dire in altro modo
che non sia volgare
ciò che è più che volgare
come posso trascinare tutto
oltre l'oblio
oltre il mio io che riverso
nei versi
oltre me stesso
come posso trasgredire l'odio
senza altro odio
come posso essere equo
e distante dal fuoco
senza farmi scottare
dall'ingiusto e mettermi ad
urlare l'ustione
come posso non dire carnefice
al carnefice
come posso essermi pace
esssere carezza per l'oppresso
senza mettere i piedi e le mani
nella bacinella in cui
versa il suo sangue
e senza esserne parte
come posso solo pensare che
la poesia se ne stia
al di fuori a cuocere e cucire
merletti politicamente corretti
se invece il mio cuore
è già parte
in tutto ed in parte
e già parte verso
la parte che subisce e che
chiama libertà
e la urla
e la schiaffeggia
la volgarizza
la spoetizza
la rende scorretta
e scomoda da starci lì accanto
ma come posso non essere dalla parte
più difficile del tavolo
quella che non divide la torta
quella che non conosce la torta
quella che la buttano
col muso nel fango
e se si ribella
ed io scrivo poesie già scritte
in attesa di poterne scrivere una
mai scritta
una mai sentita
una mai musicata
e come potrò mai guardare
negli occhi la vittima
senza starmene al caldo
nella stanza tranquilla
dell’equidistanza?

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